NEW YORK INTERIORS
Sguardi pittorici, fotografici e cinematografici di Pietro Reviglio
Testo critico di Roberto Mastroianni
Dalla logica della scoperta scientifica alla logica della scoperta artistica
Lo “stupore” e la “meraviglia” sono generatori di conoscenza: sono sentimenti, emozioni, passioni che spingono l’uomo alla ricerca e presiedono come numi tutelari, sin da Platone ed Aristotele, al rapporto conoscitivo organizzato dell’uomo. Furono infatti i due filosofi ad individuare in questi due stati d’animo la molla che spinge l’uomo all’interrogazione filosofica, prima, e a quella scientifica dopo. La storia del pensiero occidentale e delle scienze contemporanee parte da là e la filosofia classica ci consegna un’indagine del mondo che affonda le sue radici nello stupore davanti al reale ed alle leggi del suo funzionamento e divenire. La “meraviglia” è nello stesso tempo sensazione che genera domande sul “perché” e sul “come” ed emozione prodotta dall’aver trovato risposte alle domande stesse. Lo “stupore” è quel sentimento che l’animale umano prova nel preciso istante in cui il reale sollecita domande e ad esse si trovano risposte che mettono ordine nel caos esteriore ed interiore. Lo “stupore” è il sentimento che gli uomini provano nel momento in cui scoprono che l’apparente illogicità del reale è dotata di senso e significato e che una logica presiede, organizza e muove la realtà.
La “meraviglia” e lo “stupore” sono, però, soltanto una delle due facce della medaglia: sull’altra è impressa “l’inquietudine” e “l’angoscia”. Il duro mestiere di vivere si concentra, quindi, tutto nell’orizzonte delimitato da questi sentimenti contrapposti e consiste nel “fare senso”: nell’attribuire attraverso articolate narrazioni senso e significato all’apparente insensatezza della realtà.
Le scienze, quanto le arti, provano a rintracciare senso e significato in ogni cosa dentro e fuori di noi. La logica della scoperta scientifica e filosofica (l’osservazione e la narrazione delle leggi che presiedono alla realtà umana e non umana) e la logica dell’arte e delle tecniche (che su questa realtà incidono, rappresentandola e trasformandola) apparentemente contrastano, ma in verità sono complementari, in quanto sempre riportano al fondo scuro dell’angoscia e dell’inquietudine che si nasconde dietro lo stupore e la meraviglia. Alcuni artisti si rendono conto, consapevolmente o inconsapevolmente, che la scienza e l’arte sono pratiche umane molto più simili di quanto sembri e con le loro opere tentano di ricongiungere la conoscenza e l’espressione, l’osservazione analitica e la produzione di narratività emotiva. Pietro Reviglio è uno di questi: è un uomo di scienza (è un astrofisico), ma è nello stesso tempo un artista e proprio per questo motivo è in grado di coniugare lo sguardo del ricercatore con quello del creatore.
Anzi, per essere precisi, Reviglio era un astrofisico che faceva ricerca sperimentale sulle galassie e sulle strutture a grande scala dell’universo alla Columbia University di New York e che poi ha incontrato sulla sua strada la Arts Students League di New York e là, tra le lezioni di Robert Cenedella e Mary Beth McKenzie, ha scoperto che “l’inquietudine” e “l’angoscia”, il lato oscuro dello “stupore” e della “meraviglia”, potevano trovare risposte nella pittura. A quel punto lo scienziato è diventato artista.
Dall’allievo di Grotz (Cenedella) egli ha appreso una poetica e uno stile post-espressionista di matrice tedesca, che ha piegato alle esigenze dello sguardo addestrato alla ricerca scientifica. Da questa esperienza, capace di cambiare il corso di una vita, nasce una pratica artistica contraddistinta dal regime dello sguardo. Il “vedere”, il più filosofico e scientifico dei sensi, lo sguardo che indaga le leggi della natura, i tagli di luce che attraversano la realtà, diventa in questo modo il senso con cui l’artista cerca di affrontare la realtà alla ricerca di risultati, che solo la “logica della scoperta artistica” può fornire.
In questo modo lo sguardo del ricercatore ri-orienta la propria attenzione al fine di individuare le leggi strutturali del reale e portarle a rappresentazione, attraverso un processo poietico ed artistico di natura sperimentale molto simile a quello che il ricercatore usa in laboratorio.
Tutto si tiene, però, e l’arte e la scienza, apparentemente così distanti, si trovano unite sotto lo sguardo dell’artista scienziato.
I dati forniti dalla “cosalità brutale”, che il fisico osservava ed organizzava in vista della scoperta di teorie generali, capaci di spiegare la realtà e le sue leggi, adesso vengono osservati, in modo tale che il loro naturale organizzarsi porti ad una complessiva rappresentazione del visibile e dell’invisibile.
“Stupore” e “inquietudine” pongono domande e l’arte trova risposte, là dove la scienza non era più adeguata a rispondere il soggetto smette i panni del ricercatore ed indossa quelli dell’artista.
Per questi motivi, l’arte di Reviglio può essere definita in qualche modo sperimentale, se per sperimentale si intende l’utilizzo di una pratica induttiva, che diventa regime dello sguardo e della produzione artistica. Le carte della sua nuova avventura sono tutte sul tavolo, adesso bisognerà aspettare e capire dove il nuovo gioco porterà l’artista scienziato. Una nuova storia inizia qui, bisognerà aspettare e vedere quanto, cosa produrrà, cercando di coniugare “logica della scoperta scientifica” e “logica della scoperta artistica”.
Il periodo new yorkese: dai New York Paintings alle Nocturnal Visions
Fu così che nel ventre della “grande mela (marcia)”, nella New York di inizio millennio, il giovane scienziato si trovò davanti ad un cavalletto, in una scuola d’arte che fa dell’informalità e del rapporto paritario tra artista e allievi i propri tratti caratteristici. Vi era sicuramente un senso di precarietà e di mancanza in quel ragazzo abituato ad osservare le galassie: una mancanza che diventava desiderio e un desiderio vissuto come mancanza. Il rigore della scienza sperimentale tracciava ordine nel caos esteriore, ma quello interiore rimaneva in movimento e solo la tela vuota permise di rintracciare, di trasformare il caos e l’inquietudine, portando alla scoperta di colori, punti, linee e superfici che prendevano forma e portavano ad ottenere un risultato (l’opera) simile al risultato di un esperimento condotto in laboratorio.Cresciuto nello stupore della “logica della scoperta scientifica”, Pietro Reviglio ha trovato una nuova logica della scoperta, quella artistica, da condurre in un altro laboratorio: non più quello della scienza, ma il proprio studio di artista e il proprio spazio di vita quotidiana, la propria metropoli. Tutti gli elementi permanenti e i tratti caratteristici della poetica e dello stile espressivo di Reviglio sono già rintracciabili nelle sue prime opere e nel gesto intellettuale di trasposizione uno sguardo scientifico in una pratica artistica e da qui si dipana in un filo rosso che attraversa tutta la sua opera.
Gli elementi che fanno di Pietro un artista/scienziato sono tutti ascrivibili al regime dello sguardo: è lo sguardo del fisico, che procede ad assemblare elementi comuni e sparsi, in modo che il procedimento induttivo e logico-deduttivo porti a rappresentazione una figurazione dotata di senso; è lo sguardo, abituato ad analizzare la luce e i fenomeni fisici, che scorge nella realtà linee di forza che limitano e strutturano il reale, mostrandole e mettendo in crisi la rappresentazione pittorico e foto-realistica; è lo sguardo che viene accompagnato nei suoi video a sperimentare volumi, dimensioni, profondità, spazi interiori ed esteriori. Lo sguardo indaga la realtà, penetra il visibile e cerca di rendere ragione dell’invisibile che vi sta dietro, sopra, affianco.
In questo modo, a partire da un’ossessione figurativa tipica degli autodidatti, le tele hanno cominciato a riempirsi di elementi di vita quotidiana, di oggetti sparsi ed apparentemente comuni e banali, che trovano collocazione in qualsiasi stanza di un giovane trentenne in una megalopoli statunitense, dando vita ad un primo ciclo pittorico “The New York Paintings” (2005-2009).
Lo sguardo del ricercatore che si fa artista comincia quindi ad indagare il mondo circostante e lo vede animarsi delle inquietudini profonde che in lui si fanno singolari, ma che in quanto fenomeni umani sono sempre plurali. Gli scorci di città, le stanze di riposo, studio, vita, gli oggetti sparsi (i libri, le lampadine…), gli angoli delle strade, gli amici che diventano inconsapevoli ed involontari modelli: sono tutti questi elementi che Reviglio trova davanti ai suoi occhi e che indaga con lo sguardo del ricercatore, sorprendendosi, che gli elementi si incastrino quasi involontariamente, secondo una loro logica, portando all’emersione una rappresentazione. È questo il momento della scoperta di una logica intrinseca alla rappresentazione stessa che si manifesta coerentemente in un’opera. È questo il momento in cui l’artista può dire : “Io non faccio niente. Io guardo e poi dipingo, ma alla fine il dipinto si è fatto da solo come in un esperimento scientifico. Io so cosa ho dipinto solo alla fine all’inizio metto solo degli elementi che vedo attorno a me e cerco di capire come possano interagire”.
La realtà interiore ed esteriore bussa alla porta dell’artista e cerca con forza di essere espressa, rappresentata.
È questa la fase di dipinti come “Orange House” (2007), “Maureen” (2009), “Red Bulb” (2009), “Voyeurism: My Window” (2007), quadri in cui la figurazione si presenta come un obiettivo da raggiungere, con ansia, alla ricerca di forme che restituiscano il visibile e l’invisibile della realtà.
Pian piano l’inquietudine prende il sopravvento e la figurazione viene messa in crisi: le pennellate più spesse, i colori e le emozioni diventano più forti, il tratto più libero e il post espressionismo appreso alla Arts Students League viene superato in direzione di un tratto e di temi specificatamente individuali. Il punto di svolta, il raggiungimento di una poetica e di uno stile personale si ha con “Maureen” (2009), in cui la figura umana si staglia dando le spalle ad uno specchio, il paesaggio interiore dell’artista si ricongiunge a quello interiore delle stanze newyorchesi, fino ad allora rappresentate attraverso particolari ed oggetti, il volto della donna scompare in un ovale e con esso la sua identità specifica, acquisendo una generalità., una universalità capace di incarnare le inquietudine dell’uomo in relazione al femmineo ed all’intersoggettività prodotta dalla continua interrogazione.
Questo è il punto di svolta tra il ciclo dei “New York Paintings” e quello delle “Nocturnal Visions” (2009-2011) che Reviglio inizia in America e continua in Italia e nel quale la figurazione tende a scomparire e gli scorci di città, edifici, elementi architettonici ed urbanisitici, persone, oggetti di uso comune diventano parte di scenari mentali sempre più ristretti e claustrofobici. Gli interni newyorkesi diventano così scenari mentali, in cui gli elementi architettonici rimandano ad un gioco di specchi tra interiorità ed esteriorità e l’inquietudine prende la forma di un articolato vivere lo spazio antropico in modo metaforico e metonimico. È questo il caso di un quadro emblematico di questo periodo dal titolo “10.57 P.M.” (2010), in cui le forme dello spazio architettonico, i limiti e i colori sfumano in un gioco di delimitazione dello sguardo e dello spazio, il cui protagonista è una scala capace di collegare stanze mentali plurime e forse contraddittorie, le cui porte sono rigorosamente chiuse e che lo sguardo è costretto a percorre tra pianerottoli e scalini di forte intensità cromatica.
I “New York Interios” di Reviglio acquistano in questo modo il loro peculiare carattere notturno (la dimensione diurna del primo ciclo di dipinti è definitivamente superata e il punto di svolta è “Maureen”): le stanze mentali sono stanze in cui la notte fa emergere angoscia ed inquietudine e le forme sfumano in pennellate potenti e quasi astratte di colore, come in “4.31 a.m.” (2011), o in cui gli oggetti comuni (un lavandino, uno specchio, una lampada) si presentano come il limite di un disagio, di pulsioni, angosce o speranze, come confini che delimitano il mondo dell’artista ed arginano il suo travaglio interiore, come in “1.37 a.m.” (2010) o in “6.04 a.m.” (2011).
In ogni modo la fase newyorkese ci consegna alcuni elementi che diventeranno costanti della poetica di Reviglio: una certa presenza/assenza del femminile, un tratto spesso, materico, la luce come elemento che delimita, forme falliche che attraversano le sue rappresentazioni e oggetti comuni che diventano parte di una narrazione onirica.
Cinematography of Urban Madness
A partire dagli ultimi anni del periodo newyorchese, gli interni diventano sempre di più lo scenario di relazioni inquietanti e torbide che assumono il valore di una scenografia noir. Notturna è la dimensione della figurazione di Reviglio, notturne sono le passioni e le pulsioni che essa mette in scena, ma i colori in qualche modo esorcizzano e portano a manifestazione una complessità di emozioni, che fa delle stanze il contraltare di una follia urbana. Una follia che rimane chiusa fuori dalla porta, mentre dentro la vita continua alla ricerca di sé, oscillando tra la visione diurna e notturna di uno spazio esistenziale che solo colori, luce e forme possono aiutare ad emergere.
Gli interni newyorchesi sono la scena del delitto, in cui l’artista mette mano ad inquietudine ed insensatezza per fare emergere forme riconoscibili e dotate di senso, sono il laboratorio dell’artista scienziato, che con luce e colore porta avanti i suoi esperimenti pittorici, in modo tale che la mancanza e il desiderio prendano forma in una narrazione organizzata e significativa. Se dentro alle stanze ci sono le inquietudini e gli esperimenti artistici, fuori però c’è follia e violenza e anche quella deve essere rappresentata. Inizia a quel punto un altro esperimento che porta lo sguardo a sperimentarsi con il foto ed il video-realismo.
In Italia, al ritorno dal suo periodo statunitense, la ricezione di Reviglio si è concentrata sulle sue opere fotografiche e video, che prendono forma in questo periodo di transizione allo stesso tempo poetico e geografico.
New York è una città assurda e violenta, in cui la follia diventa una costante del panorama urbano, una diffusione di malessere sociale e psichiatrico che diventa elemento comune di percezione, cui Reviglio non può sottrarsi. Il disagio, la follia, la violenza lo interpellano e inizia un periodo di sperimentazione fotografica e video (2009-2012), in cui lo sguardo dell’artista si posa sul contesto urbano e sulle relazioni che esso sviluppa. L’inizio di questa transizione è rappresentato dal congiungersi dello scenario interno (le stanze private) ed esterno (gli spazi pubblici), l’attore principale dell’operazione artistica è sempre lo sguardo che prima di indagare l’esterno deve prendere atto che la luce, fino ad allora studiata con i parametri della scienza, non solo permette alla pittura di manifestarsi, ma in qualche modo delimita le stesse opere e la percezione degli oggetti prima ancora che della loro rappresentazione. Le stanze private diventano quindi la scena di un delitto e Reviglio comincia ad assassinare i propri quadri con un pratica performativa che chiude definitivamente il primo periodo newyorkese. I quadri sono là, la loro estrema figuratività, la successiva crisi della figurazione, le inquietudini che si sono materializzate e che spingono verso l’esterno portano Pietro Reviglio a sviluppare un progetto fotografico in cui i quadri sono fotografati o filmati nel momento in cui lui armato di coltello li taglia a pezzi, li assassina.
Le immagini dei quadri, nella loro interezza o a pezzi, parti del corpo dell’artista, un coltello come in "Psycho", la performance, prima fotografata (“Murder of Painting”, 2009- “Cinematography of Urban Madness “, 2009- “Noctural Interior”, 2010) e poi filmata (“Cinematography of Urban Madness”, 2010, 4.14 min.), portano alla luce definitivamente il portato psicanalitico delle opere di Reviglio e la sua predilezione per un’estetica cinematografica noir a la Hitchcock.
Non si tratta qui di banalizzare le opere video dell’artista, ma al contrario individuare una linea di ricerca che seguendo la luce, che delimita lo spazio e che determina i tagli delle opere, si spinge verso l’esterno, portando a consapevolezza la presenza a tensione sessuale e psicoanalitica della poetica di Reviglio , articolandola successivamente in un’indagine sulle relazioni umane e sugli spazi urbani e non solo sugli interni.
I video successivi (“The Oval Mirror”, 2011- “The Window Over the Sky”, 2011- “Nocturnal Visions”, 2012), si presentano quindi come un’operazione di sintesi tra pittura, fotografia e movimento e tentano di riannodare gli elementi sparsi dando forma definitiva a degli interni ed esterni che si pongono come scenari mentali, in cui l’esistenza, le sue pulsioni, inquietudini e bellezze prendono forma.
Flowers of Grief
Reviglio avrebbe probabilmente smesso di dipingere, se avesse dato retta ai suoi galleristi italiani, invece amici artisti, un critico, e la brutalità del reale lo hanno spinto a continuare a dipingere dopo essersi trasferito in Italia portando a compimento l’esplorazione delle Nocturnal Visions (l’artista si divide tuttora tra New York e Torino).
Il ritorno in Italia fu un cambio repentino di interni ed esterni, gli scenari mentali delle sue “stanze private” e delle sue “stanze pubbliche” necessitavano di prendere nuove forme, ma di colpo tutto divenne più complesso: “l’alieno” si era introdotto nello scenario mentale dell’artista. “L’alieno” (il cancro) era entrato nella vita di persone a lui vicine, modificando radicalmente tempi, spazi, umori, portando un’angoscia nuova, più potente e drammatica di quella esistenziale provata a New York. La fotografia e i video avevano segnato un momento di sintesi, affilato la scatola degli attrezzi del laboratorio d’arte e la logica della scoperta artistica lo ha spinto ad indagare quella cosa viva che cresce dentro le persone a te vicine, a quelle persone che con lui dividevano gli spazi privati ed affettivi. Inizia in questo modo un nuovo ciclo pittorico, accompagnato a foto e video, dal titolo “Flowers of Grief” (“Fiori d’angoscia”), che mettono in scena degli interni dai colori più forti, a volte più cupi e violenti, il tratto diventa più energico e gli oli su tela cominciano a dialogare con le foto e i video alla ricerca di una presenza, di una cosa viva che cresce in mezzo alle persone e che anima in modo occulto le “stanze private”. Il potere metamorfico, vitale dell’alieno comincia diventare presente nelle sue opere e compaiono i fiori, che come "fiori del male e dell’angoscia", crescono in modo spontaneo affianco agli oggetti di uso comune che, fino ad allora, delimitavano i confini e le qualità degli spazi esistenziali portati a rappresentazione. Una camicia si staglia sullo sfondo di un quadro, come se fosse un uomo senza volto e senza mani ( “Torn Shirt”, 2012), i ritratti di donne senza volto si accompagnano a piante e fiori che determinano la prevalenza cromatica delle opere, i colori si fanno più caldi a rappresentare meglio la tonalità emotiva di colui che sta vicino ai propri cari e che nello stesso tempo deve convivere con “l’alieno”.
In un modo o nell’altro Reviglio rimane un artista scienziato e comincia così a sperimentare composizioni di interni che siano scenari mentali, sapendo che alla fine, come negli esperimenti scientifici, il risultato emergerà da solo e sarà: un articolato racconto dotato di senso e significato, capace di rendere ragione dell’esistenza umana tra stupore ed inquietudine.
Roberto Mastroianni
Torino, primavera 2013
Nato a Torino nel 1976, Pietro Reviglio ha esposto negli Stati Uniti, in Italia, in Giappone e nel Regno Unito. Ha studiato pittura alla Art Students League di New York con Mary Beth McKenzie e Robert Cenedella e animazione alla School of Visual Arts. Ha inoltre conseguito un Dottorato di Ricerca in Astrofisica presso la Graduate School of Arts and Sciences della Columbia University di New York. Tra le mostre più recenti: Castel dell'Ovo (Napoli), Palazzo Ducale (Genova), Museo Laboratorio d'Arte Contemporanea (Rome), Palazzo Farnese (Ambasciata di Francia, Roma), la 54esima Biennale di Venezia, The Italian Academy (New York), Columbia University (New York) , il Museo d'Arte Orientale (Torino) e la Ishida Taisheisha Hall di Kyoto. Articoli sul suo lavoro sono apparsi su Flash Art, NY Arts, La Stampa, La Repubblica, America24, Yahoo News.
Roberto Mastroiani è filosofo, curatore e critico d’arte, ricercatore indipendente di semiotica, estetica filosofica e filosofia del linguaggio presso il C.I.R.Ce (Centro Interdipartimentale Ricerche sulla Comunicazione) del Dipartimento di Filosofia dell'Università degli Studi di Torino. Laureato in Filosofia Teoretica alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Torino, sotto la supervisione di Gianni Vattimo e Roberto Salizzoni, è dottore di Ricerca in Scienze e Progetto della Comunicazione, sotto la supervisione di Ugo Volli. Si occupa di Filosofia del Linguaggio, Estetica filosofica, Teoria generale della Politica, Antropologia, Semiotica, Comunicazione, Arte e Critica filosofica. Ha curato libri di teoria della politica, scritto di filosofia e arte contemporanea e curato diverse esposizioni museali. Ha tenuto seminari in differenti Università Italiane e straniere.
NEW YORK INTERIORS
Fusion Art Gallery, Torino. Through April 6, 2013.